Un pomeriggio discontri annunciati da parte di 2000 ultrà al Circo Massimo guidati daForza Nuova La sindaca Raggi: “Sono delle bestie”
Articolo di Paolo Berizzi
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ROMA — «Giornalista terrorista», gridano in coro gli ultrà fascisti dopo la prima carica. Molti sono incappucciati: ad altri, per travisare i volti, bastano mascherina e cappello. Brandiscono mazze avvolte nelle bandiere tricolori. Dalle tasche dei bermuda tirano fuori pietre raccolte lungo i viali.
Ore 15.50: all’angolo tra via dei Cerchi e via dell’Ara Massima di Ercole, Circo Massimo lato Tevere, sui sampietrini (e su qualche testa) piovono bottiglie, sassi, aste, fumogeni. Anche un paio di bombe carta. Bersaglio: cronisti, cameramen e forze dell’ordine. «Merde, ve ne dovete anna’», ringhia un ultrà laziale, ragnatela tatuata sull’avambraccio. «Avete scelto un mestiere da infami e adesso pagate», gli fa eco un altro che lancia una bottiglia di birra in direzione di un blindato dei carabinieri. Benvenuti alla manifestazione anti- governo dei “Ragazzi d’Italia”, il network nero che ha dichiarato guerra al Palazzo e portato per la prima volta le tifoserie di estrema destra dalle curve alla piazza. Le «bestie », come li avrebbe invece chiamati qualche ora dopo la sindaca Virginia Raggi.
Un raduno che, c’era da aspettarselo, deflagra all’improvviso. Centrato l’obiettivo della prova di forza: prendersi la scena con l’azione che agli ultrà viene meglio: usare la violenza, scatenare disordini. Il modo più efficace che conoscono per andare all’incasso. E l’incasso è aver marchiato con il timbro lugubre dell’adunata fascista uno dei luoghi simbolo della Capitale. Quel Circo Massimo dove correvano i cavalli e dove adesso, nello sfregio dei cori «duce duce», dei saluti romani, del rumore dei bengala, risuona, o meglio stride, l’Inno di Mameli. Finisce così: con gruppi di facinorosi anche molto giovani che di nuovo provano a staccarsi e a sfondare sul lato del Giardino degli Aranci (e già che ci sono incendiano l’erba), 13 fermi e due arresti.
«Pronti alla battaglia», avevano promesso gli ultrà. Romani (quasi tutti Ultras Lazio), bresciani, veronesi e vicentini, lombardi, friulani, e poi Piacenza, Ascoli, Varese, Bologna. Ringalluzziti dal vento nero e populista che tira da giorni su Roma: quattro manifestazioni sovraniste in città nel giro di una settimana (dal 30 maggio a ieri, passando dal 2 giugno). Segnatamente: quest’ultima – sulla carta, la più rognosa – è l’unica dove ci sono stati incidenti. Forse era scritto. Certamente era annunciato.
Alle cinque del pomeriggio, quando nella valle tra il Palatino e l’Aventino gli ultrà si disperdono, capisci che non è stato solo un pomeriggio ad alta tensione: è stato un taglio, manco superficiale, nella pelle dello Stato antifascista. La domanda sorge: perché lasciare il Circo Massimo nella disponibilità dei “Ragazzi d’Italia”? Perché permettere che 2mila ultrà – neofascisti, molti pregiudicati – potessero esibire il peggio del repertorio del camerata che invade la politica? Repubblica ha dato ampia notizia delle loro intenzioni il 21 maggio. Il 3 giugno, sempre su questo giornale, abbiamo denunciato di nuovo quale fosse il piano degli ultrà che vogliono «far cadere il governo» trasformando «le piazze nel vostro incubo». Nomi, gruppi, città di provenienza.
Gli ultrà, alla fine, hanno mantenuto la parola. Si capisce ora perché non abbiano voluto “trattare” con la questura di Roma, come ritualmente si fa. Nessun preavviso. Pochissime notizie sulle modalità. O meglio: prima una vaga e informale richiesta dai “Ragazzi d’Italia” del leader bresciano Stefano Paderni volevano addirittura piazza del Popolo, dove il 2 giugno hanno manifestato i gilet arancioni di Pappalardo, e da dove, sempre il 2 giugno, è partito il megastriscione con tanto di assembramento di Salvini e Meloni più Tajani). Alla fine, Circo Massimo: permesso accordato. Si fa. Eppure sui social dilagavano slogan minatori («stiamo arrivando merde!», «l’onda nera pronta alla battaglia»). E intanto gli ultrà della Curva Nord del Brescia, come Massimiliano Chicco Baldassari, minacciavano i «giornalisti zecche» («se vi vedo volano calci in culo»). Una promessa che hanno provato a rendere concreta.
Il primo Cavallo di Troia sono state le magliette bianche. «Nessun simbolo delle squadre», era stata l’indicazione. Rispettata. Quasi. Un gruppo si è presentato vestito di nero e già incappucciato, i bastoni in mano. Il grosso dei 2mila erano ultrà della Lazio, da sempre di estremissima destra tra Forza Nuova, Casa-Pound, ivolta Nazionale e, un tempo, i Nar. Sono arrivati in corteo da piazza della Bocca della Verità. Gli altri già radunati su via dei Cerchi. Tutti lì. A tendere braccia, a cantare Mameli, a onorare il “duce”. Il palco al centro del Circo Massimo è rimasto senza nessuno intorno per oltre un’ora. Nella “fossa” gli ultrà non ci volevano entrare. La tarantella la volevano scatenare fuori, sull’asfalto. E dunque: nel luogo dove si consumò il Ratto delle Sabine è andato in scena il tranello dei “Ragazzi d’Italia”. È bastato volassero insulti e un ceffone tra due dei leader della giornata – Giuliano Castellino di FN e il palestrato Simone Carabella, detto il “tuffatore”, già candidato con FdI alle elezioni regionali 2018, anche lui come Castellino curvaiolo romanista – perché gli ultrà iniziassero a prendersela col mondo. Anzi, col «sistema », per dirla con la loro retorica. Carica contro giornalisti e forze dell’ordine (che si sono limitati a contenere).
Ultimo post in rete alla vigilia: «Staccati da Facebook, è tempo di lottare, di gridare la tua rabbia ».
Forse è solo l’inizio.